Mentre attraversi il parco boscoso all’estremità del distretto navale di Venezia del XII secolo ed entri in una radura alberata, ti trovi di fronte alle incombenti pareti di pietra bianca e alle pesanti colonne di un edificio di epoca fascista, un tempio di dimensioni disumane degli anni ’30 ai poteri dell’architettura tedesca.
Poi noti i buchi che abbiamo scavato nei suoi muri. Queste aperture grezze, con le travi in acciaio dell’architrave a vista, hanno trasformato questo austero santuario nazionale in qualcos’altro. Aperto alle intemperie e alla folla che passa, diventa un luogo informale e improvvisato, un mercato brulicante non solo di idee ma di cose della vita reale: venditori ambulanti turchi che abbiamo portato da Berlino versando bicchieri di yogurt, gruppi di persone sedute su mucchi di mattoni che tengono discussioni, nessuna pianificata o ordinata.
Abbiamo trasformato il padiglione tedesco alla Biennale di Architettura di Venezia, in programma per i prossimi sei mesi, in un altro tipo di architettura europea, quella che si trova nei quartieri poveri degli immigrati delle grandi città, modellata dagli stessi nuovi arrivati con materiali a basso costo per soddisfare le loro mutevoli esigenze commerciali e residenziali. All’interno si trova una mostra dedicata a questo tipo di architettura, alle migliori idee per utilizzare l’architettura per far sì che l’integrazione degli immigrati abbia successo.
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